La scuola pitagorica rappresenta simbolicamente il carattere di ricerca associato che la filosofia ha avuto in Grecia fin dalle sue origini. In particolare, Pitagora e i pitagorici si configurano come un’élite di iniziati con una componente politica e religiosa. Continuando la speculazione sulla physis, i pitagorici identificano il numero come principio di tutte le cose e da qui deducono l’interpretazione del mondo come “cosmo” (ordine). Questo permette loro di indagare la struttura razionale profonda del mondo, non limitandosi alla sua sostanza. L’interesse per la matematica emerge in modo predominante anche nella loro visione religiosa e antropologica: infatti, la purificazione e la salvezza individuale possono essere raggiunte attraverso la conoscenza e la pratica delle scienze matematiche.
La scuola pitagorica
Fin dalle sue origini, la filosofia in Grecia ha un carattere di ricerca associata. I filosofi, chiamati “compagni”, si riuniscono per cercare insieme la verità e condividere la propria esistenza in una solidarietà di pensiero, costume e intenti. La ricerca filosofica stessa spinge il singolo pensatore alla comunicazione e alla condivisione dei propri risultati. Questo aspetto della filosofia greca non è casuale e spiega l’interesse costante dei filosofi per la politica.
Un caso particolare ed emblematico è rappresentato dalla scuola pitagorica, dove la comunione di vita e di ricerca assume anche una dimensione politica e religiosa. Pitagora di Samo (570 a.C. – circa 490 a.C.), come figura storica e il suo specifico pensiero, sono poco conosciuti. Questo è dovuto al fatto che Pitagora stesso non ha scritto nulla e dopo la sua morte i suoi discepoli lo hanno divinizzato, attribuendogli tutte le loro scoperte successive.
I più importanti discepoli di Pitagora, come Filolao, Archita, Alcmeone ed Epicarmo, si organizzavano come una sorta di casta e lavoravano in squadre. Il patrimonio di conoscenze accumulato veniva mantenuto segreto ed era considerato patrimonio comune. Inizialmente, nel VI-V secolo a.C., il pitagorismo si sviluppò nelle colonie greche dell’Italia meridionale.
Solo con Filolao, all’epoca di Socrate, il pitagorismo viene diffuso al di fuori della scuola, influenzando in modo significativo il pensiero di Platone, soprattutto per quanto riguarda la dottrina dei principi e le tesi fondamentali della morale e della visione dell’uomo. Nei primi decenni del IV secolo a.C., la scuola pitagorica della Magna Grecia entra in crisi. Tuttavia, non scompare del tutto, ma si trasforma in una filosofia eclettica con elementi aristotelici e platonici, che ci è stata tramandata sotto forma di cosiddetti Pseudopythagorica, cioè scritti (falsamente) attribuiti a grandi pitagorici del passato, come ad esempio Archita. Questo era fatto con l’intento di dimostrare che il pensiero dei più importanti filosofi aveva origini pitagoriche.
Il numero principio di tutte le cose
La filosofia pitagorica identifica nel numero il principio fondamentale di tutte le cose. Questa conclusione deriva dall’osservazione che tutti i fenomeni naturali, come le stagioni, l’incubazione degli animali, gli accordi musicali, si verificano con una certa regolarità, seguendo rapporti calcolabili che sembrano dipendere da principi numerici intrinseci ad essi.
I pitagorici, notando una differenza strutturale tra i numeri pari e i numeri dispari (che è particolarmente evidente nella loro rappresentazione geometrica), sono spinti a cercare elementi ancora più elementari del numero. Identificano questi elementi nel principio illimitato e nel principio limitato, in modo che ogni numero sia la sintesi di entrambi i principi.
Successivamente, avviene una transizione diretta dal numero alle cose. I filosofi pitagorici non hanno una chiara concezione dell’astrattezza dei numeri, ma li concepiscono come un insieme di punti disposti nello spazio, rappresentati concretamente da sassolini. Inoltre, collegando l’uno al punto, il due alla linea, il tre alla superficie e il quattro al solido, possono facilmente costruire con questi elementi geometrici le figure solide, associandole ai quattro elementi (il cubo alla terra, la piramide al fuoco, l’ottaedro all’aria, etc.).
La religione e la morale per Pitagora e i pitagorici
I pitagorici sviluppano anche una visione religiosa e antropologica, che prende in prestito molto dall’orfismo. Condividono la visione dualistica dell’uomo, la credenza nella metempsicosi (reincarnazione) dell’anima e la ricerca della salvezza individuale attraverso rituali di purificazione. Tuttavia, i pitagorici si differenziano dalle pratiche orfiche per quanto riguarda i mezzi di purificazione. Mentre l’orfismo si basava principalmente sull’osservanza passiva di riti, regole e precetti, per i pitagorici la via della purificazione si identificava nella scienza matematica. Essi credevano che la matematica avesse la capacità di liberare l’uomo dal particolare e dal sensibile, elevandolo alla dimensione dell’eterno e del divino.
Cos’è l’orfismo?
Ispiratore di questa corrente spirituale che emerse in Grecia a partire dal IV secolo a.C. è, secondo la tradizione, il leggendario poeta tracio Orfeo. Le testimonianze più antiche indicano che il contenuto originario della poesia orfica era di natura mitica e incorporava narrazioni sulla vita e la morte di Dioniso-Zagreus, strettamente legate ai misteri di Eleusi e Delfi.
I temi dell’immortalità di un’anima separata dal corpo che l’ha imprigionata, in attesa di reincarnarsi in nuovi corpi o di dissetarsi alle acque della dea Memoria per recuperare il ricordo dell’integrazione con il divino, hanno influenzato la tradizione filosofica. Questi temi si sono manifestati in Eraclito, Parmenide, Empedocle, nel pitagorismo e negli scritti di Platone, e si sono perpetuati nell’era cristiana attraverso lo gnosticismo.
L’orfismo ha avuto un impatto significativo sulla storia dell’etica occidentale, con teorie e pratiche di vita non violenta che riflettono il principio della distinzione ontologica tra anima e corpo (dualismo).