A Elea, l’odierna Velia, in Campania (a cavallo tra i secc. VI e V a.C.), è nato e vissuto Parmenide. La sua unica opera è un poema intitolato “Sulla natura“. Un elemento di grande rilevanza del pensiero di Parmenide è la sua introduzione e sviluppo del concetto dell’essere. Il suo poema filosofico è una rivelazione e una ricerca razionale, dove la protagonista è la dea della Verità, che si manifesta a Parmenide e presenta due vie: la via della verità e la via dell’errore.
La via della verità è basata sul principio che “l’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può in alcun modo essere“. La via dell’opinione, o dell’errore, nega questo principio. Tuttavia, solo la via della verità è percorribile in quanto solo ciò che esiste può essere pensato e detto. La via dell’opinione si riferisce alla negazione dell’essere, al non essere delle cose, che in sé non può essere né pensato né detto, nonostante sia testimoniato dai sensi. Quindi, essere e pensare sono la stessa cosa.
Parmenide, l’essere ingenerato, eterno, finito e immutabile
Secondo Parmenide, l’essere è “ingenerato” (se si generasse dovrebbe derivare dal non essere, che non c’è) e “incorruttibile” (se si corrompesse andrebbe nel non essere, che non c’è). L’essere non ha un passato (che implicherebbe non essere più) né un futuro (che implicherebbe il non essere ancora). Non è soggetto a mutamenti ed è immobile, poiché il mutamento e il movimento implicano l’alterità e il non essere. È indivisibile, poiché ogni divisione implica l’alterità e il non essere, e quindi è completamente uguale in ogni sua parte, “simile a una massa di ben rotonda sfera”. Pertanto, è finito, poiché per i greci solo ciò che è finito è considerato perfetto, mentre l’infinito viene percepito come imperfezione.
Se la verità coincide con questo essere di assoluta integralità, ne consegue che tutto ciò di cui parlano gli esseri umani è solo apparenza, poiché non si riferisce all’essere in quanto tale, ma ammette il divenire e il mutamento, che implicano il passaggio dall’essere al non essere e viceversa. Delle realtà che sono testimoniati dai sensi, non è possibile avere una conoscenza certa, ma solo un’opinione, chiamata “dóxa” in greco.
Nel tentativo di conciliare le caratteristiche dell’essere con la realtà esperita dagli uomini, Parmenide parla di un’opinione plausibile delle cose, una terza via percorribile, in cui la molteplicità e il divenire, testimoniati dai sensi, sono accettati non come puro essere o puro non essere, ma solo come apparenza fenomenica.
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