
Il filosofo più idoneo a rispondere a questa precisa domanda è, senza ombra di dubbio, Seneca.
« È importante sapersi ritirare in se stessi: un eccessivo contatto con gli altri, spesso così dissimili da noi, disturba il nostro ordine interiore, riaccende passioni assopite, inasprisce tutto ciò che nell’animo vi è di debole o di non ancora perfettamente guarito.
Vanno opportunamente alternate le due dimensioni della solitudine e della socialità: la prima ci fa farà provare nostalgia dei nostri simili, l’altra di noi stessi; in questo modo, l’una sarà proficuo rimedio dell’altra.
La solitudine guarirà l’avversione alla folla, la folla cancellerà il tedio della solitudine. »
Lucio Anneo Seneca, “De tranquillitate animi”
Il De tranquillitate animi è un trattato di Lucio Anneo Seneca che fa parte di dodici libri che formano i Dialogi (tra gli altri, ad esempio, il De brevitate vitae, il De vita beata, il De providentia) e che costituiscono, con le Epistulae morales ad Lucilium, il corpus della filosofia senecana.
La soluzione a questo stato di dissidio e paralisi interiore per Seneca è quella di partecipare ai doveri sociali secondo la propria indole; coloro che possiedono un animo teso all’azione è giusto che partecipino alla vita pubblica, ma essendo ben consapevoli degli innumerevoli rischi che questa porta.
Le passioni non vanno quindi annullate ma moderate, al fine di indirizzare le proprie energie per un miglioramento della società, in un accordo armonico tra vita attiva e otium meditativo.
La “tranquillità” è allora la medicina dell’animo più adatta per districarsi negli affanni della vita attiva e per godere di un otium produttivo.
Che cos’è per te la tranquillità? Scrivilo nei commenti!
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