L’atroce e barbara fine di Satnam Singh (il bracciante indiano lasciato morire dissanguato dal suo datore di lavoro a Latina) ha riacceso il dibattito politico/sindacale sugli invisibili e sul perenne risentimento nei loro confronti.
Da esseri umani é naturale chiedersi come mai tanta crudeltà nei confronti dello straniero. Per rispondere a questo interrogativo é necessario squarciare il velo dell’ipocrisia e del perbenismo per capire veramente e sociologicamente cosa siamo diventati.
I passi che ho scelto sono tratti da “Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi” di Z. Bauman, in più occasioni (purtroppo) analizzato con i miei allievi.
Tra gli stranieri più odiati trionfa la figura del profugo o dell’esule proveniente dalle parti più impoverite del pianeta. Come diceva Brecht, essi sono i nostri uccelli del malaugurio. Quando bussano alla nostra porta ci ricordano quanto siano fragili il nostro benessere e la nostra pace. […]
Anche quando si fermano in un luogo, il loro insediamento non è permanente perché la destinazione finale rimane sconosciuta e inaccessibile. Essi non hanno mai la possibilità di liberarsi dalla precarietà e transitorietà del loro stato. In questo senso, essi incarnano le paure che ci assalgono nelle nostre notti insonni e che tentiamo di reprimere e rimuovere durante il giorno occupandoci delle nostre routine quotidiane.
I profughi, il materiale di scarto delle frontiere globalizzate, sono gli emarginati assoluti: sono fuori posto ovunque tranne che in quei luoghi che sono dei non-luoghi, perché non appaiono sulle mappe, e dove le persone normali non vanno mai. Una volta fuori, si è fuori a tempo indeterminato e bastano delle torri di guardia per far diventare il «tempo indeterminato» una detenzione a vita. […]
I mendicanti, i malintenzionati, i vagabondi e ogni altro tipo di irregolari sono diventati i protagonisti degli incubi delle classi alte e sono considerati i più pericolosi nemici dell’ordine pubblico. Essi sono l’incarnazione dei terribili pericoli che serba la vita su un pianeta densamente popolato, diventando quindi il bersaglio naturale del risentimento.
Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi – Z. Bauman
La morte di Satnam Singh e le derive dell’Homo Consumens
L’efferata vicenda di Satnam Singh, il bracciante indiano abbandonato a dissanguare a Latina dal suo datore di lavoro, impone una riflessione profonda sulla società odierna e sul nostro ruolo di cittadini. Come esseri umani, non può che suscitare orrore e indignazione di fronte a tale crudeltà e disumanità. Tuttavia, per cogliere le radici profonde di questo episodio, è necessario superare l’immediata indignazione e addentrarsi nelle dinamiche socio-economiche che lo hanno generato.
In quest’ottica, l’opera di Zygmunt Bauman, in particolare il suo libro “Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi”, offre una lente di lettura preziosa. Bauman descrive una società dominata dalla logica consumistica, dove l’identità individuale è definita dai beni posseduti e dalle esperienze fruite. In questo contesto, gli “altri”, soprattutto gli immigrati provenienti dai paesi più poveri del mondo, vengono percepiti come una minaccia all’ordine costituito e al nostro benessere.
Come sottolinea Bauman, i profughi e gli emarginati sono visti come “uccelli del malaugurio“, che ci ricordano la precarietà della nostra esistenza e la fragilità del nostro sistema. La loro presenza ci mette a disagio, perché incarna le nostre paure più recondite e i nostri timori per il futuro. Per questo motivo, tendiamo a reprimerli e a marginalizzarli, relegandoli in non-luoghi ai margini della società.
Satnam Singh è diventato vittima di questo meccanismo di esclusione e demonizzazione. La sua morte rappresenta un monito inquietante: non possiamo più permettere che la logica del consumo e dell’individualismo sfrenato ci porti a negare la dignità umana e i diritti fondamentali di chi è più fragile e vulnerabile.
La necessità del mutamento di mentalità
Si impone un profondo mutamento di mentalità, un recupero di valori come la solidarietà, l’empatia e il rispetto per l’altro. Solo in questo modo potremo costruire una società più giusta e inclusiva, dove la tragedia di Satnam Singh non rappresenti più un episodio isolato, ma un doloroso ricordo da cui trarre insegnamento per edificare un futuro migliore.
Oltre alle riflessioni di Bauman, possiamo attingere ad altre fonti per comprendere le complesse dinamiche che hanno portato alla morte di Satnam Singh. Sarebbe utile, ad esempio, approfondire il tema dello sfruttamento lavorativo e del caporalato, piaga ancora diffusa in molte realtà del nostro Paese. Oppure, si potrebbe analizzare il ruolo dei media nella costruzione dell’immagine degli immigrati, spesso rappresentati come una massa indistinta e pericolosa.
In definitiva, la morte di Satnam Singh ci invita a non rimanere indifferenti e ad intraprendere un’attenta disamina di quanto sta accadendo nella nostra società. Solo attraverso un impegno collettivo e una riflessione critica potremo sperare di estirpare le radici dell’odio e della violenza e costruire un mondo più giusto e solidale.